L’oscura immensità della morte
L’oscura immensità della morte
di Massimo Carlotto
nella riduzione a firma dell’autore
Con Claudio Gioè
Produzione BAM TEATRO
in collaborazione con B22 Festival Settembre al Borgo – Caserta XL edizione
Nel corso di una rapina, un malvivente prende in ostaggio una donna e il figlio di otto anni e li uccide.
L’uomo viene condannato all’ergastolo. Ma per Silvano Contin, al quale hanno ammazzato moglie e figlio, la sentenza non basta. Quel giorno ha perso tutto e si ritrova prigioniero della solitudine e della memoria. Quindici anni dopo l’omicida, colpito da un tumore inguaribile, chiede la grazia e quindi necessariamente il perdono di Contin.
La risposta di quest’uomo, devastato dal dolore e avvolto dall’oscura immensità della morte, è il cuore di questo romanzo. Due tragedie si fondono, alimentate dalla incapacità dello Stato a dare risposte certe alle vittime e ai cittadini detenuti rinchiusi in affollati istituti di pena ( dalla Prefazione al romanzo, edizioni e/o)
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Ci sono prigioni fatte di sbarre, di controlli, di attese, anche quando sulla tua scheda c’e’ scritto: “Fine pena: mai”.
Sono le prigioni del mondo “di fuori”, carceri che nel nostro paese presentano scenari devastanti, dove il suicidio troppo spesso appare l’unica consolazione.
Poi ci sono le prigioni del mondo “di dentro”, dove i ricordi sono catene, dove il dolore e’ il tuo unico compagno di cella.
Questo testo indaga su due realtà contrapposte, che sembrano procedere parallelamente e senza incontrarsi mai.
Sulla prigione dei colpevoli e quella delle vittime.
Ma sono davvero così distanti? La vita scandita in modo maniacale del carcere è così dissimile dalle maglie strette della socialità imposta all’individuo “libero”?
Il concetto di carnefice e vittima, qui emerge in tutta la sua labilita’, in tutta la sua ambiguità.
Sono le aberrazioni di una società che pretende di rieducare chi commette un delitto nella totale assenza di un programma riabilitativo e culturale, ma che dimentica al tempo stesso le vittime, dirette e indirette, dei crimini.
Abbandonati a se stessi e con le sole proprie capacità i ‘sopravvissuti’ rivivono ogni giorno il loro inferno: per loro, piu’ che per i criminali, davvero la “fine pena” non arriva mai.
Ma una società che non si pone queste problematiche quanto può dirsi civile, al di là di ogni ipocrisia e opportunismo politico?
La contrapposizione tra il sentimento di giustizia e il bisogno di giustizia sono anch’esse alla base di questo testo che prova ad affondare la mente e lo stomaco nei labirinti delle carceri, sia quelli imposti per legge che quelli inventati da noi per sopravvivere.
Claudio Gioè
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